lunedì 21 novembre 2016

I'm the strongest person I've ever known

Te lo dicono sempre: a volte vinci, a volte perdi.
Quello che non ti dicono è quanto sia brutto perdere, quanto faccia male, come ti senti quando la scritta “GAME OVER” appare ad intermittenza sullo schermo della tua vita. 
Non ti dicono che la sensazione è quella non solo di aver perso la partita, ma di aver perso tutto.  
Non ti dicono che ti sembra di perdere pezzi del tuo corpo mentre cammini per strada, che perdi anche la forza di piangere o ridere. 
Non ti dicono che il cibo perde sapore, che quasi perdi la voce. Non ti dicono che perdi le forze, le staffe, la lucidità.
Quando perdi, perdi tutto e tutto perde.

Ma forse io ho solo perso l’equilibrio ed è per questo che sono caduta. 
E mi sono fatta male. Cazzo che male. 
E tutti intorno possono dirti che l’importante a quel punto è rialzarsi, ma la verità è che quando sei lì, per terra, sanguinante e ansimante, di certo non riesci a rialzarti. 
Non subito. 
Devi piangere e urlare, perché quel dolore esiste, anche se sei l’unica a sentirlo. 
In quel momento non senti altro che fitte lancinanti e una grande rabbia. 
Rabbia perché a volte se cadi è perché c’è qualcuno a spingerti o, semplicemente, qualcuno che ti ha lasciato la mano. 
Come potevi prevedere che avrebbe lasciato la presa, se fino a quel momento era stata così salda? Non avresti dovuto scalare la vetta a prescindere, per colpa delle vertigini? 
Qualcuno, a posteriori, potrà anche dirti di sì. Che hai rischiato troppo, che alla fine è anche un po’ colpa tua. Ma tu sai che non è così. Perché mentre loro erano giù ad aspettarti, tu nel frattempo ti stavi arrampicando fino alla cima. E anche se ogni tanto qualche sassolino cadeva e la paura di cadere cresceva sempre di più, la vista da lassù era magnifica. La più bella che avessi mai visto in vita mia.

Se mi sono fatta così male cadendo, è solo perché ero arrivata davvero molto in alto.

Ma c’è anche da dire che se sono precipitata in questo modo e sono riuscita a rialzarmi tutta intera, allora forse sono forte davvero. Perché ora ho capito qualcosa in più su come fare per arrivare fin lassù e, soprattutto, ho capito che, quella dalla cima, è una vista a cui non voglio rinunciare


“E’ una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto,
abbandonare tutti i sogni perché uno di loro non si è realizzato,
rinunciare a tutti i tentativi perché uno è fallito.
E’ una follia condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito,
non credere in nessuno amore solo perché uno di loro è stato infedele,
buttare via tutte le possibilità di essere felici sono perché qualcosa non è andato per il verso giusto.
Ci sarà sempre un’altra opportunità, un’altra amicizia, un altro amore, una nuova forza.
Per ogni fine c’è un nuovo inizio.”

mercoledì 1 giugno 2016

Ho perso un sacco di treni ma ci arriverò lo stesso

Vivo la mia vita con la costante paura di fallire. In qualsiasi cosa. 
E’ una paura talmente viva e forte che mi immobilizza, mi impietrisce. 
Il fatto è che io nella vita ho fallito tante volte. Forse troppe. 
Ho sempre inciampato in tutto quello che facevo e continuo a farlo inesorabilmente.
Tutte quelle insufficienze a scuola, quegli esami non passati, quei pianti a tarda notte, quella sensazione di arrivarci sempre vicino ma non farcela mai. 
Ci sono persone che tutto sommato ce la fanno sempre: il fallimento non fa per loro; forse lo temono, ma non l’hanno mai visto troppo da vicino. Sono persone che io invidio tantissimo, perché non sopporto questa mia perenne incapacità in tutte le cose, anche le più semplici, anche quelle in cui dovrei riuscire senza problemi.

Per me la vita è una corsa affannata verso un traguardo irraggiungibile; un percorso ad ostacoli che mi rallentano, mi feriscono, mi indeboliscono. Non è vero che il fallimento ti rende più forte: il fallimento ti mortifica, ti indebolisce, ti distrugge. 
Io non lo so come sono arrivata fino a qua; so solo che se mi guardo indietro vedo un percorso disastrato e una miriade di errori che mi fanno sentire incapace di qualunque cosa. 
Fallire è inevitabile: non esiste nessuno che nella vita non abbia mai fallito, in grande o piccola scala. A meno che uno non si sia mai messo in gioco, al che andrebbero fatte delle considerazioni in merito all’utilità di una vita vissuta senza rischio.

Se c’è una cosa che ho capito, è che la vita è fatta di inciampi e singhiozzi. 
La nostra è una vita costellata da errori: alcuni minimi, alcuni enormi. 
Alcune persone hanno la straordinaria capacità di ascoltare i buoni consigli e limitare i danni, mentre altre, come la sottoscritta, hanno il vizio di sbattere la testa due, tre, dieci volte contro il muro, prima di capire che forse è meglio passare dalla porta. 
E io mi odio per questo, perché sarebbe tutto più semplice se imparassi a fare le cose bene, per tempo, senza nemmeno troppo sforzo. 

Ma perdersi è indispensabile quando si è giovani. 
Ci si perde, perché alla fine siamo così sicuri di dove vogliamo andare? 
Ci si perde perché non sempre la meta è la cosa più importante.
Chi non si è mai perso, non sa cosa sia ritrovarsi, dice Recalcati.

Io odio sbagliare, ma a volte è proprio quello che mi serve per capire che i miei obbiettivi e le mie capacità sono più grandi di un singolo errore.
Inciampare significa che se non altro stai camminando, che ci stai provando. 
E se cadi e ti rialzi, non credere che sia da tutti, non credere che sia normale, non credere che lo farebbero tutti. Perché non tutti si risollevano e ci riprovano. 
Molti si arrendono perché arrendersi è più facile; perché piuttosto che fallire ancora si dicono che in fondo non era così importante.
Io ho una paura tremenda di fallire, ma non mi sono mai fermata perché tutte queste botte prima o poi mi saranno utili. 

Un giorno ce la farò e mi ringrazierò.

sabato 21 maggio 2016

Parto perché viaggiare mi ricorda quanto valgo

Ci sono volte in cui mi guardo allo specchio e non so chi sto guardando. Non mi riconosco perché non riconosco i miei sentimenti, non so quello che provo. 

Vivo una vita in cui non è permesso fermarsi, in cui la frenesia ti travolge a tal punto che dopo un po’ non devi nemmeno più fare nessuno sforzo particolare per tenere il ritmo. E’ una vita succhia soldi e succhia energie; la perfetta definizione di quella che viene chiamata “Vita Grama” o “Vita di stenti”, descrivibile nel seguente modo in qualsiasi curriculum vitae:

« Studentessa disperata, pendolare privilegiata, guidatrice imbruttita, figlia viziata e assorbitrice di ogni risorsa finanziaria, difenditrice dei diritti umani, paladina dell’uguaglianza, confidente di anime in pena e hot-air blogger; wrestling fighter con mia sorella, plannig-maker di piani di studio, pizza-eater on a weekly basis, social media manager delle mie pagine Facebook e Instagram, video maker su Snapchat, critico gastronomico della cucina di mamma, nonna e fratello, cat-sitter del mio gatto, pagatrice di multe e Ragazza psicolabile presso “Me stessa”. 
Porto avanti da anni la lotta per l’acquisizione di diritto del telecomando e detengo attualmente il posto a capotavola in famiglia. 
Ovviamente tutto a tempo indeterminato. »

Insomma, è normale che uno dopo un po’ o si droga, o si inietta vodka Redbull direttamente in vena, o muore.

Io, istintivamente, tendo ad immobilizzarmi, perché nell’agitazione mi perdo di vista, non so più chi sono. 
Il fatto è che dopo un po’ inizia tutto a starmi stretto (anche i vestiti, ma questo è un altro discorso). E se capita che, in mezzo a tanta gente, sembri completamente spenta e da tutt’altra parte, la verità è che lo sono: in quei momenti di apparente apatia sto in realtà pianificando la fuga.
Sento che devo proteggermi, scappare. Mi rifugio nell’unica cosa che so mi farà ritrovare me stessa: partire.

Parto perché il viaggio è il mio migliore amico, il mio porto sicuro.
Parto perché non mi interessa più di tanto vedere posti, ma piuttosto rincontrare me stessa.
Parto perché sono curiosa di vedere cosa deciderò di portarmi dietro; perché nel momento in cui c’è da preparare la valigia non la riempio mai fino a scoppiare, ma seleziono sempre le cose più importanti.
Parto perché viaggiare mi ricorda quanto valgo e quello di cui sono capace; perché viaggiando io sfido ogni volta i miei limiti.
Parto perché voglio vedere fino a dove riesco a spingermi. 
Parto perché viaggiare mi arricchisce e mi rende una persona migliore; 
Parto perché viaggiare mi aiuta da sempre a spogliarmi di ogni pregiudizio verso gli altri e verso me stessa.
Parto perché viaggiare è innamorarsi ogni volta. Non di un posto o di una persona, ma della vita.
Parto perché il dolore del distacco mi aiuta a capire chi è importante e chi non lo è.
Parto perché niente è paragonabile alla gioia di tornare a casa.

Viaggiare ti rende concavo e ti permette di accogliere dentro te la bellezza del mondo.

Viaggiare è tornare a casa. E io amo casa.

Alaska

domenica 8 maggio 2016

Credi in te stessa perché nessuno lo farà per te.

Una mia grande mancanza è stata per anni quella di cercare disperatamente l’approvazione degli altri. Provavo a coglierla dappertutto: negli sguardi, nei gesti, nelle parole; nelle risate, nelle smorfie, nei sospiri. Ricevere conferme era indispensabile per andare avanti.
Lasciavo che fossero le altre persone a legittimare le mie azioni; le eleggevo a giudici e aspettavo la sentenza.

Ma pian piano ho imparato che una vita non può essere felice se non la si conduce. 

Me lo dico sempre: continua a tenere saldamente il timone, anche durante la burrasca. 
La vita è una nave troppo preziosa per lasciarla condurre a qualcun altro.

Apprezzati abbastanza da non avere bisogno dell’approvazione degli altri per sentirti completa.
Amati più che puoi perché se non ti ami non riuscirai a farti amare da nessuno.
Piangi quando nessuno ti sente perché le tue lacrime sono solo tue.
Acquisisci tutta la consapevolezza che puoi, così da non lasciarti influenzare da ogni cosa che ti succede intorno.
Sii sincera con te stessa perché è l’unico modo per cambiare quello che non ti piace.

A volte succedono delle cose brutte e tu ti senti l’unica colpevole; altre volte succedono cose bellissime e senti di non meritartele.
Impara a dirti “brava” da sola, nella solitudine della tua stanza.
Impara a farti dei regali, a essere gentile con te stessa, a darti una carezza.
Impara a non mentirti, a non nasconderti, a non avere paura di mostrarti.

Tu sai la tua verità, la sincerità delle tue emozioni, l’unicità del tuo pensiero.
Non rimanerci male se qualcuno non capisce: non tutti sono fatti per comprenderci
Ci sono persone che ci amano ma ci stanno accanto maldestramente, ci sostengono perplessi; altre (poche) sembrano avere la chiave della nostra anima.
Non fare l’errore di credere che la prima categoria valga meno della seconda: a volte un appoggio cieco e un po’ difettato è prezioso proprio perché gratuito ed imprescindibile.

Non credere che gli altri possano sapere cos’è meglio per te; se ti senti persa, ascolta ogni buon consiglio, ma impara a ritrovarti.
Impara a capire quando puoi fidarti di te stessa. Fai le tue scelte da sola e prenditi tutto il rischio.
Tieniti strette le tue vittorie come dei piccoli trofei.
Ogni giorno, fai una cosa che ti spaventa. Anche la più piccola.

Vedrai come diventerai forte.

Alaska


domenica 24 aprile 2016

Ama te stesso e ti ameranno tutti (o quasi)

12 Gennaio 2015

“Ce la sto mettendo tutta per avere un rapporto sano col cibo. Non voglio più vergognarmi di avere fame, di mangiare davanti ad altre persone, di aver paura di finire quello che ho nel piatto prima degli altri. Voglio smetterla di pensare che verrò giudicata per quello che mangio e che l’unica opinione che gli altri possano avere di me, sia quella di una pigra cicciona. Sono stanca di sentirmi in colpa per uno sgarro, di odiare il mio corpo quando è gonfio. Non voglio più guardarmi le cosce schiacciate sul sedile, o tirare in dentro la pancia quando qualcuno mi guarda. Vorrei essere capace di andare in giro a testa alta, con una bella postura orgogliosa, consapevole. Ma non del fatto che ho una corporatura tutt’altro che esile o che ho il culo grosso. Consapevole del fatto che sono bellissima, in gamba e di carattere. 
(…) D’ora in poi rifiuto il giudizio, il senso di colpa, la malattia. Rifiuto quella vocina che mi dice che potrei vomitare la schifezza che ho mangiato, o che semplicemente potrei smettere di mangiare per sempre. Mi rifiuto di programmare la giornata in base ai miei programmi alimentari e di privarmi del cibo come fonte di nutrimento e piacere.
Non ho più intenzione di vergognarmi di dire che sono a dieta, né di temere l’ostilità di quelli che la mia dieta non la condividono, solo perché non sono capaci di farla, loro. O perché non ne hanno bisogno. Perché anche per seguire una dieta sana ci vuole impegno, dedizione, capacità, buon senso. Soprattutto buon senso. Perché una dieta può rivelarsi un grande pericolo, e io lo so.
Voglio poter andare in palestra ogni volta che ho voglia, poter mangiare quello che mi pare. 
Mai più trasformerò una frustrazione in odio per il mio corpo.
Io il mio corpo voglio amarlo, così com’è.

Più di anno fa, con le lacrime agli occhi, scrivevo queste parole sulla stessa tastiera su cui sto digitando ora. Rileggerle fa male; è incredibile quanto poco basti per rievocare emozioni così forti come quelle che provavo allora: un senso di inadeguatezza costante, una incapacità assoluta di amare il mio corpo e di credere in me stessa; la paura di aprirmi e mostrarmi per quello che ero, il terrore di essere giudicati da chiunque incrociasse il mio sguardo; uno stato di perenne attesa di qualcosa di meglio che, semplicemente, mi immobilizzava.
A quel tempo ero convinta che l’origine di tutti i miei problemi fosse il mio corpo e che perdere peso fosse l’unica soluzione.
C’è da dire che nell’analisi introspettiva sono sempre stata brava e, dopo essermi sforzata di guardarmi dentro senza filtri, ho colto la verità dei miei demoni con una chiarezza sconcertante.
In tutta la mia vita, fino a quel momento, avevo sempre attuato inconsciamente quello che viene definito “spostamento”. Infatti, quando nella mia vita si presentava una difficoltà che faceva affiorare le mie più profonde insicurezze, allora era per me più facile riversare questo sentimento di inadeguatezza sul mio aspetto fisico, piuttosto che affrontarlo per quello che era.
Il mio cervello sapeva che, tutto sommato, era sopportabile, per me, la convinzione di avere qualche chilo di troppo (risolvibile con un po’ di dieta e palestra) e che invece sarebbe stato devastante trovarmi di fronte alle mie più profonde paure.
Così ho fatto per anni, posticipando l’inevitabile momento in cui una goccia avrebbe fatto traboccare il vaso e il giochino dello “spostamento” si sarebbe esaurito.

Non so quale sia stata quella goccia, né quando sia caduta. Semplicemente è successo ed è stata la cosa migliore della mia vita.
Se mi guardo ora, faccio fatica a contenere l’emozione. 
Un anno può sembrare poco o una vita intera, ma, a prescindere da tutto, in quest’anno ci sono io. In quest’anno sono rinata. 
Da una parte mi sento cresciuta, ma allo stesso tempo mi sento ritornata bambina: vivo il mio corpo con una serenità assoluta, non mi preoccupo troppo di quello che mangio perché il cibo è buono ma è solo cibo, nulla di più. Non temo le emozioni forti e soprattutto non temo più il giudizio.
Esattamente come quando ero piccola: quando rispondevo a tono alle maestre, litigavo con i bambini prepotenti, mi vestivo seguendo il mio gusto eccentrico e mi lasciavo scivolare i commenti addosso, perché, anche se ci provavano, non mi lasciavo mettere i piedi in testa da nessuno. 
E nel frattempo mangiavo gelati e pizzette senza vergogna. 
Insomma, ero una bambina fantastica.

Ora mi guardo e capisco che ho imparato di nuovo a mostrarmi per quello che sono, senza aspettarmi di piacere a nessuno in particolare. 
Mi espongo senza paura perché rivelarsi per quello che si è, è l’unico modo per circondarsi di persone che ci apprezzano davvero.

Quindi niente, se potessi urlare una cosa al mondo in questo momento, sarebbe: "Ama te stesso e ti ameranno tutti!". O almeno quasi tutti, perché non si può piacere a tutti, ma se ti ami non ti interessa.


Vittoria Alaska Calderara

mercoledì 13 aprile 2016

Scoppio di vita, scoppio d’amore.

A volte vorrei solo una bella storia d’amore, di quelle semplici, lineari; di quelle noiose da raccontare, che i tuoi amici ti vogliono uccidere ogni volta che ne parli. 
Di quelle che litighi per sciocchezze ma fai subito pace, che la sera ti guardi un film abbracciata e la mattina fai colazione con una brioche alla crema. Una storia di quelle che il weekend vai a Roma o a Venezia e fai tutte quelle cose da cessa tipo la foto con il gondoliere o la cena al lume di candela.
Una di quelle storie da foto di copertina da 150 likes, da commenti di amici e famigliari “oddio quanto siete belli” che vorresti morire dalla vergogna ma tanto cosa importa? Sei innamorato ed è quello che conta.

Io spesso penso a storie così e non mi ci vedo dentro nemmeno con il più grande sforzo mentale.
Forse io non sono fatta per queste storie da film, forse sono proprio io a non essere capace.
Non sono capace di dipendere da qualcun altro, sono talmente egoista da bastarmi.
Perché io ho vent’anni e non ho mai visto nell’amore una realizzazione, un obbiettivo. 
Le romanticherie sono sempre state un contorno, un impulso forte ma sempre controllato, calibrato. Non potevo perdermi, non anche in quello. Non potevo permettermi di distrarmi così. 
Da cosa, poi, è tutta un’altra storia.

Io non credo che l’amore sia necessario per completarmi: ho tanti progetti e ambizioni, una lista di posti da vedere e di esperienze da fare; una parete da riempire di cartoline, miglia aeree da collezionare, diari da scrivere, storie da raccontare; fotografie da scattare e albe da vedere. 
Nei miei progetti non c’è un uomo. Nei miei progetti ci sono io: grande protagonista di una vita memorabile. 
Questo non significa che io la mia bella storia d’amore non la voglia lo stesso: la voglio eccome, ma ho deciso di non aspettarla, né tantomeno di cercarla.
Ho deciso che se l’amore è una cosa così fantastica, straordinaria ed imprevedibile, forse è inutile che cerchi di sfidarlo. 
Forse devo solo accogliere ciò che viene senza pensarci troppo, senza avere paura.

Dicono che l’amore vero sia come i fantasmi: tutti ne parlano, ma solo pochi l’hanno visto davvero. 
Io non lo so se l’ho visto, l’amore vero. Non so nemmeno cosa sia. 
Cos’è l’amore? Esiste una definizione logica? Ma forse davvero razionalità e amore sono due rette parallele che non si incontrano mai e, se viaggi sulla retta della razionalità, sei proprio fregato e l’amore lo vedi solo da lontano senza mai toccarlo.

Ma allora come lo sai se sei innamorato? Se non ci sono regole, come ci si auto proclama amanti?
E’ un titolo che ti danno gli altri? O lo devi capire tu? 

Italo Svevo scrisse:

"– Chissà se l'amo? – È un dubbio che m'accompagnò per tutta la vita e oggidì posso pensare che l'amore accompagnato da tanto dubbio sia il vero amore.

C’è da dire che Svevo non delude proprio mai. 
Probabilmente ha ragione: è possibile che amare qualcuno sia semplicemente domandarselo.
Forse l’amore non è altro che un dubbio, un sassolino nella scarpa che non ti riesci proprio a togliere. 

Ma insomma:
“L’amore è come un fulmine: non si sa dove cade finché non è caduto.”
Inutile cercare di prevedere i fulmini, inutile ripararsi per paura che ti colpiscano.

Tanto vale ballare sotto il temporale.


Vittoria Alaska Calderara

mercoledì 30 marzo 2016

Il dramma di amare senza essere ricambiati.

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona.”

E’ ironico come Dante, già nel 1300, sia stato in grado di riassumere in pochi versi quello che sarebbe stato il dramma romantico di sempre, per sempre.

Questi versi, che sono forse i più inflazionati della Divina Commedia, mi hanno colpito a tal punto che si sono prepotentemente fatti spazio nel mio bagaglio di vita e, costantemente, ritornano.

    Io non sono mai stata particolarmente fortunata in amore. Sono molto passionale, ma anche molto spaventata; non mi fido mai anche se vorrei e, col tempo, ho eretto tra i miei sentimenti e gli altri un muro molto difficile da valicare. Insomma, non certo la ricetta perfetta per una storia d’amore da favola. Non mi risulta che Cenerentola avesse problemi di fiducia, o che alla Bella Addormentata non piacessero le sue gambe, o che Ariel fosse riluttante ad esprimere i suoi sentimenti.


    Il mio problema non è mai stato quello di non piacere ai ragazzi: ho sempre avuto il mio discreto seguito e sono sempre stata apprezzata (non da tutti, ma da molti) non solo fisicamente, ma anche intellettualmente.  Al che la domanda sorge spontanea: “Com’è che sono così sfigata in amore?”.  La risposta è semplice: ho sempre sottoposto i miei spasimanti ad una selezione a prova di bomba. Risultato: tutti bocciati, con qualche rimandato a Settembre (dopo l’estate, che quella è sacra). Il mio mantra è sempre stato: “Mai accontentarsi!” che, per carità, ineccepibile. Soprattutto a vent’anni. Ma siamo sicuri di doverla prendere proprio così alla lettera? Non è che forse a qualche compromesso bisogna pur scendere?


   Questi dubbi sono pervenuti quando, dopo anni di storie in cui spezzavo cuori di ragazzi apparentemente perfetti, mi ha sfiorato la mente il pensiero che forse il problema potevano non essere gli uomini (“tutti sfigati”, “tutti stronzi”, “tutti incomprensibili”) bensì, proprio io: troppo esigente, troppo idealista, troppo spaventata dall’idea di dover rendere conto a qualcuno al di fuori di me stessa.


    Non c’è voluto molto per capire che forse avevo sbagliato tutto, in ogni storia.

La svolta? Quando ho sperimentato l’amore non corrisposto, in cui, questa volta (e altre volte poi) la parte non corrisposta non era un ragazzo a cui davo false speranze senza nemmeno accorgermi, ma ero proprio io: persa di qualcuno che non mi considerava “in quel senso”.
L’ironia della sorte voleva che, in tutto questo, quelli di cui mi innamoravo inesorabilmente fossero ragazzi tutt’altro che perfetti: non bellissimi, problematici, insicuri ma con ego smisurati… un cocktail perfetto, insomma.
Senza contare lo smacco alla mia fiducia nelle mie armi di seduzione, ho ben presto iniziato a capire cosa significasse quella strana e contorta espressione… “soffrire per amore”.
E fa schifo, ma schifo davvero. Nel senso che ti senti morire dentro, vorresti piangere urlare, prendertela con tutti. Ti odi perché è come se qualcosa non andasse in te e nel frattempo odi lui, perché ti sembra impossibile che tu possa amare così follemente qualcuno che per te non prova nulla.

    Ed ecco che entra in gioco il nostro Dante, che con i suoi versi diceva proprio questo: Paolo amava così tanto e così sinceramente Francesca, che per lei è stato inevitabile, alla fine, amarlo a sua volta. E il loro amore è così forte che continuano ad amarsi anche dopo la morte, all’inferno. Beh, io mi aggrappo a questi versi come un uccellino si aggrappa ad un ramo.

Ma aveva davvero ragione Dante? Forse sì, magari solo alla lunga. Magari non a vent’anni. Però sì, non c’è cosa più attraente dell’essere amati tanto e bene. Non è forse questo che cerchiamo nell’amore?
Quindi forse bisognerebbe ascoltare Camus quando dice che “Non essere amati è una semplice sfortuna, la vera disgrazia è non amare.

    Perché alla fine è vero che non essere corrisposti fa schifo, ma c’è da dire che non c’è conquista più grande del ritrovarsi capaci di amare persone imperfette.

Ed è solo amando, che si impara ad essere amati.


Vittoria Alaska Calderara